Violenza: codice rosso
Lo scorso 19 aprile abbiamo incontrato l’avvocato Francesca Negri, penalista a Milano dal 1996, patrocinante in Cassazione, che si occupa prevalentemente della difesa delle vittime dei reati di violenza sessuale, anche su minori, di stalking, di maltrattamenti e che nel 1997 ha partecipato alla nascita e alla fondazione dell’associazione SVS DAD (Soccorso Violenza Sessuale Donna Aiuta Donna Onlus presso la Clinica Mangiagalli di Milano).
Francesca Negri ci ha brevemente spiegato come il nostro codice civile tratta i delitti di violenza di genere, un tema quanto mai attuale e che abbiamo dovuto affrontare di recente presso uno dei nostri spazi.
Il nostro codice prevede tre grandi categorie di reati di violenza:
Il maltrattamento in famiglia (già in qualche modo previsto anche dal codice Rocco degli anni trenta del secolo scorso).
La violenza sessuale
Lo stalking
Inoltre, nel 2019, è stata introdotta una nuova legge, il cosiddetto Codice Rosso, che ha introdotto non solo riforme procedurali e misure cautelari e di prevenzione, ma anche nuovi reati come il revenge porn, la costrizione al matrimonio, il delitto di sfregio fisico e la violazione dei provvedimenti di allontanamento; inoltre ha anche rivisto le pene che in caso di morte della vittima di sfregio può arrivare fino all’ergastolo.
Ma vediamo più in dettaglio cosa si intende per maltrattamenti. Si tratta di tutti gli atti di violenza fisica e psicologica, minacce, intimidazioni, svilimento, prevaricazione di uno sull’altro che possono avvenire non solo all’interno delle mura domestiche, ma anche negli istituti scolastici, nella pratica dell’attività sportiva o nelle case sanitarie. Inoltre sono stati riconosciuti i delitti di violenza economica e di violenza assistita, soprattutto da parte dei minori che sono in questo caso parte lesa.
Tutti questi reati possono essere perseguiti o in seguito a una querela oppure sono procedibili di ufficio, nel caso in cui un impiegato pubblico, ad esempio un insegnante, rilevi una violenza; in questo caso c’è l’obbligo di denuncia.
Per quanto riguarda, invece, la violenza sessuale dobbiamo ricordare che fino al 1996 era riconosciuta solo nel caso in cui fosse dimostrabile la penetrazione, con tutte le implicazioni psicologiche che questa dimostrazione aveva sulla vittima. Oggi, invece, sono perseguibili anche i reati di palpeggiamento, i baci rubati, il costringere grazie alla propria posizione di forza una persona a compiere atti sessuali, avere rapporti con minori di 14 anni. Inoltre il Codice Rosso ha allungato i tempi per presentare la denuncia da 6 mesi a un anno.
Infine, nella categoria dello stalking rientrano tutti gli atti persecutori e le minacce che determinano nella vittima uno stato di ansia o paura, un pericolo per la propria incolumità o quella dei propri congiunti, l’obbligo a dover cambiare il proprio stile di vita per evitare le minacce.
Nel caso in cui avvenisse una violenza di qualsiasi genere la vittima, o chi ne sia a conoscenza, deve rivolgersi alla polizia giudiziaria la quale, acquisita la notizia di reato, riferisce immediatamente al pubblico ministero che, entro tre giorni, deve assumere informazioni dalla persona offesa o da chi ha denunciato i fatti di reato. La polizia fornirà anche un elenco dei centri antiviolenza presenti sul territorio a cui la vittima potrà nel frattempo rivolgersi.
Questi in grande sintesi i punti trattati. Il prossimo appuntamento sul tema della violenza sarà il 2 maggio quando, sempre presso la nostra sede incontreremo Cristina Paiocchi, psicologa e psicoterapeuta, che svolge la sua attività professionale presso il centro Soccorso Violenza Sessuale e Domestica della Clinica Mangiagalli.
Di seguito pubblichiamo uno stralcio dal testo “Una storia recente” propostoci da Silvio Morganti.
Da:
UNA STORIA RECENTE
Ciro Cascone, Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale per i minorenni di Milano
In: AAVV (A cura di), Psicologia e giustizia nel tribunale per i minorenni di Milano,
pgg. 87- 101, Libreriauniversitaria Edizioni, 2022
RAPPORTI CON IL SERVIZIO: LE SEGNALAZIONI
A seguito della legge n. 149/2001, sono cambiati anche i rapporti tra PM e servizi sociosanitari, il cui referente immediato e iniziale è proprio il PM minorile, destinatario unico di tutte le segnalazioni riguardanti i minorenni.
È importante evidenziare un punto: non sempre è sufficiente inviare la segnalazione alla procura minorenni, esaurendo così la propria funzione e restando magari in attesa del decreto del TM. Spesso è opportuno un confronto diretto e continuo del servizio con il PM, in modo da calibrare al meglio ogni possibile intervento, nonché valutare adeguatamente se e quando, e con quali richieste, appaia necessario rivolgersi al TM. Lo strumento della segnalazione diventa così il momento fondamentale della tutela dei diritti delle persone minori di età.
Attraverso la segnalazione, il servizio porta a conoscenza dell’autorità giudiziaria una situazione di pregiudizio, ossia una situazione in cui la responsabilità genitoriale è esercitata male (o, in casi estremi, non è esercitata affatto), con la conseguenza che il minore in questione possa subire un danno, ovvero risulti in stato di abbandono.
Quanto al contenuto concreto della segnalazione, è opportuno che il servizio fornisca al PM tutti gli elementi di conoscenza in suo possesso (a cominciare dai dati anagrafici dei componenti il nucleo famigliare, alle concrete condizioni di vita dei minori, a eventuali, precedenti, interventi assistenziali, ecc.), ma soprattutto è necessario che venga delineato, in qualche modo, il progetto di intervento che si intende attuare, evidenziando altresì le ragioni per le quali si richiede un espresso intervento limitativo della responsabilità genitoriale. Il servizio deve dare conto dei passi compiuti per ricercare il consenso e l’adesione dei genitori e del minore, chiarendo se vi è stato, magari, dissenso esplicito, ovvero un comportamento formalmente e apparentemente collaborante, ma di fatto oppositivo e sfuggente.
Solo tali dettagliate notizie, infatti, consentiranno al PM di apprezzare concretamente la sussistenza del pregiudizio prospettato, valutando se la situazione richieda un intervento giudiziario e quali richieste avanzare al TM.
Concludendo sul punto, non resta che ribadire che il PM filtra le segnalazioni che riceve dal servizio sociale o da altri soggetti, dispone eventuali accertamenti “veloci”, raccoglie all’occorrenza sommarie informazioni e, se lo ritiene, promuove l’azione civile innanzi al TM.
Il confine fra l’area di intervento propria del servizio sociale e di quello giudiziario, come accennato sopra, deve essere ben marcato:
- Il servizio sociale opera nell’ambito del principio della volontarietà e della beneficità, con azioni di supporto per i nuclei famigliari in difficoltà; azioni che, se trovano l’adesione dei genitori alla proposta di aiuto e alla costruzione partecipata di una progettualità per affrancarsi dalla situazione di vulnerabilità sociale, non richiedono alcun provvedimento giudiziario;
- L’azione giudiziaria è tesa, invece, alla limitazione di diritti e serve a prescrivere ai genitori percorsi che altrimenti non seguirebbero, ovvero a limitare o escludere la responsabilità genitoriale quando questo sia riconosciuto come l’unico strumento di tutela del minore.
- […] Il pensiero che guida il PM minorile può essere sintetizzato nei termini che seguono: l’intervento dell’autorità giudiziaria nel settore della famiglia è molto particolare e delicato, e rischia di essere visto/vissuto come un intervento a gamba tesa, un’intrusione nel privato famigliare, con la conseguenza di aggravare i già fragili e precari equilibri. La collaborazione sinergica con i servizi sociali è fondamentale, tenendo però sempre ben presenti i rispettivi ruoli. Il punto di partenza è la tutela dei diritti anche se bisogna constatare che i diritti devono essere sempre oggetto di una difficile opera di bilanciamento, soprattutto in presenza di fragilità personali e famigliari dove la realizzazione di tale tutela può comportare dei costi. È anche, e soprattutto, una questione di risorse, che sono sempre più scarse.
Ma quali sono i diritti dei minori oggi? Si potrebbe semplificare dicendo che consistono nella realizzazione del loro “miglior interesse” o, per essere più precisi, del loro “maggior benessere” (tra quelli possibili). È una funzione che spetta ai genitori rispetto ai quali solo in casi estremi si può intervenire dall’esterno: si tratta allora di delineare e di perimetrare i margini di intervento dell’autorità giudiziaria, in quanto non si può pretendere di imporre il proprio modello di benessere (astratto), ma bisogna verificare in concreto, caso per caso, se quel minore vive in una situazione di non benessere, di mal-essere, di pregiudizio (che poi è un danno o rischio di danno).
Se questo malessere è stato provocato – oppure non viene riconosciuto e fronteggiato – dai genitori, allora bisogna intervenire in supporto al genitore, aiutandolo a comprendere, a modificare i propri comportamenti, a rimettere tra le proprie priorità il benessere del figlio.